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    Coppia di cuscini collezione Orfeo ed Euridice per divano e letto - grigio perla
    Coppia di cuscini collezione Orfeo ed Euridice per divano e letto dettaglio grigio
    • Coppia di cuscini collezione Orfeo ed Euridice per divano e letto
    • Coppia di cuscini collezione Orfeo ed Euridice per divano e letto

    Coppia di cuscini collezione Orfeo ed Euridice per divano e letto

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    16,00 €
    Tax Included

    Fatto a mano in Italia, federe da cuscino in cotone con stampa toile de jouy senape ispirato al mito di Orfeo ed Euridice

    • 2 Cuscini in cotone a fantasia
    • Apertura sul retro con lembo esterno bordo senape
    • Connubio di modernità e tradizione
    • Dimensione 45x45 cm
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    Cuscini collezione Orfeo ed Euridice per divano e letto

    Fatto a mano in Italia, cuscino in cotone con stampa toile de jouy senape ispirato al mito di Orfeo ed Euridice

    L'intramontabile fantasia Jolie e il connubio con la purezza del cotone percalle rendono la massima espressione di artigianato italiano attraverso la collezione Orfeo ed Euridice, ispirata al mito dell'amore senza confini. 

    Cuscino realizzato interamente in Italia con stampa toile de jouy e bordo a contrasto senape.

    L'uomo che sfidò la notte per dormire con la sua amata sposa

    Lasciate che adesso parlino Lemoire...

    Nel mito greco Orfeo, figlio della musa Calliope e di Apollo – o del re della Tracia, Eagro, secondo altre versioni – è il poeta per eccellenza, la personificazione del canto. Con la sua lira e le sue parole riesce a sedurre uomini, animali di ogni specie e perfino alberi, pietre e mare. Con la forza dei suoi versi commuove, intenerisce, appassiona, tocca l’animo e le fibre di chi ha modo di ascoltarlo. Per questo sin dall’antichità ogni artista si è identificato con lui, ha voluto vestire i suoi panni e ha cercato di ravvivare il mito con una sua personale interpretazione.

    Il mito di Orfeo è senza dubbio uno dei più famosi nella mitologia greca, ed è impossibile dar conto di tutte le riscritture che lo riguardano. Di sicuro, narra Apollonio Rodio, il cantore tracio compare già nell’equipaggio degli Argonauti, i naviganti che con Giasone si recano alla ricerca del vello d’oro. In una prima fase del mito Orfeo è il cantore, il poeta tra i poeti, e con la lira è rappresentato, per esempio, nei vasi attici fino al V secolo a.C. Ma finora è quasi sempre solo, colto molte volte nel momento in cui ammansisce le fiere con la sua musica. Piano piano, però, quest’affascinante figura inizia ad accompagnarsi a una donna, e quel canto che lo ha già reso celebre acquista nuove sfumature.

    Orfeo s’innamora, ricambiato, della ninfa Euridice, e la sposa. Eppure il destino dei due amanti nasce sotto una cattiva stella. Come racconta Virgilio nelle Georgiche, di Euridice s’invaghisce anche il pastore Aristeo, che l’insegue per farla sua e, mentre scappa, Euridice è morsa fatalmente da un serpente. Nelle Metamorfosi Ovidio sceglie di eliminare dalla scena Aristeo: Euridice è spensierata, in compagnia di una schiera di ninfe, quando viene morsa al tallone dal rettile. Appena Orfeo apprende la notizia, piange la sposa e con coraggio decide di recarsi negli inferi per riaverla. Scende fino allo Stige, vince ogni ostacolo grazie alla lira e si presenta a Persefone e a Ade, i signori dell’oltretomba. Canta il suo amore per Euridice e chiede che gli venga data la possibilità di continuare a vivere con lei.

    Tale è la forza del suo amore e del suo canto che Persefone, Ade, il cane Cerbero e perfino le implacabili Furie si commuovono. Gli viene quindi accordato di portare con sé Euridice, ma a un patto: lui andrà avanti, lei lo seguirà, e Orfeo non potrà mai girarsi indietro, perché altrimenti Euridice tornerà per sempre tra le ombre dei defunti. In nome della passione il poeta ha quindi sfidato i limiti dell’essere umano, con i suoi versi ha sconfitto la morte e il conseguente oblio. La poesia sembra poter influire sul destino ultimo di ogni uomo.

    L'ultimo sguardo

    Sembra. Nella risalita, infatti, mentre i due amanti sono quasi arrivati alla luce, Orfeo non resiste alla tentazione e si volta per controllare che la sua amata sia veramente con lui. Nel tempo di un attimo Euridice scompare per sempre nell’abisso. Distrutto e impietrito, Orfeo non trova più pace e vaga per la terra, sublimando nel canto un passato che non può più tornare. Continua a emozionare, sì, ma rifiuta la vita e l’amore delle altre donne; per questo le Menadi – o Baccanti – si vendicano di lui, che pure era legato a Dioniso, e lo fanno a pezzi gettandone i resti nel fiume Ebro. Tutti lo piangono, uccelli, alberi, sassi, ma Orfeo potrà tornare a riabbracciare la sua Euridice.

    Nei secoli la tradizione ha raccontato in questo modo la triste fine di una delle vicende greche più romantiche, uno dei tanti amori che solo la poesia rende immortali. Pur tenendo sempre ben presenti le versioni classiche, soprattutto di Virgilio e di Ovidio, gli artisti iniziano man mano a giocare con la storia, a stravolgerla e anche ad attualizzarla. La portano persino nei nostri giorni: il regista francese Marcel Camus immagina un Orfeo tranviere e cantante durante il carnevale di Rio de Janeiro nel film premio Oscar Orfeo negro (1959); il drammaturgo Jean Anouilh intravede in Orfeo e in Euridice un violinista geloso e una seducente attrice in tournée per la Francia (Euridice, 1942) e Jean Cocteau, nei panni del regista del film Orfeo (1950), trasforma il cantore in un poeta francese del dopoguerra ossessionato dalla propria arte e sedotto dalla morte, ma insensibile all’amore della moglie incinta Euridice.

    Un gesto istintivo o calcolato?

    Oltre a dare nuove vesti ai due infelici protagonisti del mito, gli Orfeo del Novecento cominciano a chiedersi perché il cantore tracio si sia voltato, e cos’abbia provato Euridice in quell’attimo fatale. Se Ovidio nelle Metamorfosi assolve Orfeo, affermando che «già di nuovo morendo [Euridice, NdA] non ebbe parole di rimprovero per il marito (e di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non di essere amata?)», nel Novecento non tutti sembrano pensarla sempre allo stesso modo e rivivere in egual maniera il distacco tra i due.

    Uno dei primi a fornire una nuova versione è Rainer Maria Rilke nel suo splendido poema Orfeo. Euridice. Hermes (1904), che ricorda un bassorilievo romano in marmo del 410 a.C., in cui assieme ai due amanti già compare Hermes, il dio messaggero e psicopompo – guida delle anime. In Rilke Euridice non ha più pensieri per l’uomo che l’ha voluta indietro, perché ha smesso ormai di appartenere al marito. Avanza quindi «incerta, mite e senza impazienza»; quando Hermes le fa notare che il marito si è voltato, prima di svanire chiede con un soffio: «Chi?», giacché non può più riconoscere il suo grande amore.

    Con soluzioni diverse, anche Cesare Pavese dà al mito una lettura poetica e metafisica. In uno dei Dialoghi con Leucò (1947) è il cantore tracio a parlare per negare la tradizione classica: «Ridicolo che dopo quel viaggio, dopo aver visto in faccia il nulla, io mi voltassi per errore o per capriccio». L'uomo che ha incontrato la morte non può liberarsi dal suo pensiero, non riesce a dimenticarla. L'amore non è più la sua preoccupazione principale, né lo è Euridice: per Orfeo appartengono al passato, e per questo ha deciso di girarsi. Saranno quindi o Euridice o Orfeo a disinteressarsi l’una dell’altro per via di un destino più grande di loro, terribile e misterioso.

    La scelta di Euridice

    E se invece, dopo secoli di silenzi e di scomparse fulminee, anche Euridice volesse finalmente prendere la parola? Nell’ampia costellazione di riscritture, da Yourcenar a Magris, da Calvino a Vecchioni, da Kerouac a Rushdie, da Stravinskij agli Arcade Fire, ce ne sono alcune particolarmente interessanti, in cui sono spesso le artiste a riprendersi un punto di vista, quello femminile, molte volte negato dalla storia. Per questo scelgono che sia Euridice a cantare. La ninfa di due tra le più grandi poetesse della prima metà del Novecento – la statunitense Hilda Doolittle e la russa Marina Ivanovna Cvetaeva – sembra rinfacciare al marito una medesima colpa: l’arroganza. Ormai tutt’una con il mondo delle tenebre, la giovane donna non avrebbe ricordato la meraviglia della vita, i suoi colori, i suoi odori, se non si fosse intromesso Orfeo, che abusa del suo potere di uomo e di poeta. In Doolittle Orfeo ha fatto assaporare alla donna la rinascita e poi, egoista ancora una volta, si è girato, senza minimamente pensare al dolore della compagna che tanto sublima nel canto. Per questo l’Euridice di Cvetaeva chiede decisa a Orfeo: «Dimentica e abbandonami!». Come a dire, non cantare più di me, rispettami, lasciami stare nel mio nuovo mondo.

    Non sarà certo così! Perché, in fin dei conti, Orfeo potrebbe tenere più a sé stesso e alla sua lira, al suo esser bardo, che all’amore di Euridice. Ce lo ricorda pure Gesualdo Bufalino in Il ritorno di Euridice (1986). Mentre nella folla in fila aspetta la barca che la riporti nell’Ade, e con un sorriso si domanda se non abbia diritto a una precedenza visto che vi ritorna per la seconda volta, Euridice ripercorre gli ultimi istanti prima dell’addio. Indispettita, non riesce a spiegarsi perché, nonostante tutte le raccomandazioni, Orfeo non si sia trattenuto in quegli ultimi pochi metri. Solo alla fine Euridice capisce che s’è voltato apposta: come avrebbe fatto altrimenti a piangere sconsolato la sua perdita nell’eternità del mito e della riscrittura? Racconta quindi un divertito Bufalino: «L’aria non li aveva ancora divisi che già la sua voce baldamente intonava “Che farò senza Euridice?”

    Fonte: https://www.storicang.it/a/orfeo-ed-euridice-mito-damore-e-morte_15128

    Orfeo ed Euridice

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